Capita, se siamo abbastanza onesti e facciamo un buon lavoro con lo yoga (yoga o anche altre discipline), che intraprendiamo allo stesso tempo un discreto lavoro su noi stessi.
Si cominciano a vedere alcune nostre dinamiche interne, si collegano magari alcune patologie a drammi irrisolti del nostro passato, si porta la consapevolezza su alcuni condizionamenti che ci portiamo avanti da sempre, si scopre magari qualche nostra reazione meccanica di difesa dell’Ego o si comincia a vedere il nostro corpo di dolore che emerge impetuoso in situazioni di stress o anche dinanzi alla frase più innocua…
Se vogliamo davvero, attraverso un processo di autosservazione e autoanalisi, è possibile affrontare un percorso tanto intrigante quanto doloroso che ci porta sovente ad affrontare una situazione di crisi, crisi che prende ogni volta sfumature diverse.
Con il passare degli anni e un lavoro serio è possibile acquisire così alcuni rudimenti di psicologia più per via pratica che non per studio, rudimenti che possono essere raffinati o meno a seconda della passione e del desiderio di scoprire qualcosa di nuovo in più riguardo a noi stessi.
Questa premessa è stata necessaria per farvi riflettere sul punto cruciale che volevo oggi condividere con voi per smascherare un altro gioco egoico molto sottile e mettere quindi in guardia chi magari vi è prossimo e mi riferisco alla tendenza inconscia (ed Egoica) del dover per forza dare consigli.
Questa tendenza, che talvolta vedo ancora dentro di me e che vedo spesso in chi ha cominciato un percorso di questo tipo da qualche anno, si traduce quasi sempre nel dispensare goffamente alcuni consigli o realizzazioni spirituali a chi di spiritualità o di ricerca interiore non si interessa assolutamente.
Nessuno ci ha mai chiesto niente.
Suvvia siamo onesti, nessuno ci ha mai chiesto di inondarli con interminabili discorsi sfondacoglioni sulla spiritualità, sull’Ego, sull’accettazione, sulla nostra storia e sul nostro cammino, su quanto forse farebbero bene a cominciare a fare Yoga che è davvero la salvezza dell’umanità.
Perché abbiamo questo disperato bisogno di insegnare?
La frase che solitamente si richiama in tale discussione è la piuttosto famosa “non dare perle ai porci” che è sì una frase calzante ma è anche una frase che presa così alla lettera e senza un ragionamento più profondo rischia di portarci parecchio fuori strada.
Pensiamoci bene. Già dare dei “porci” metaforicamente a delle persone è qualcosa che stride…e non è che se questa frase viene attribuita a Gesù allora possiamo andare tranquilli, anzi! Se davvero intendeva questo io mi cagherei addosso.
Cosa ci sfugge?
Ci sfugge che spesso, infatti, il nostro “dare consigli” è colorato dall’Ego.
Se diamo un consiglio spirituale a qualcuno ci stiamo mettendo quasi sempre su un piedistallo dal quale predicare e riempirci la bocca (e l’Ego).
Non è incredibile la necessità talvolta che ci prende di dover insegnare quanto abbiamo (forse) imparato per grande spirito filantropo?
Onestà dai, a chi la stiamo raccontando? Lo facciamo per farci belli, per sentirci più illuminati e realizzati di chi ci sta di fronte. Forse è un meccanismo inconscio che non avete ancora riconosciuto, perché se avete l’idea di essere realizzati non accetterete mai la violenta verità del vostro bisogno di attenzione e del sentirvi importanti.
Abbiamo creato, e spesso continuiamo a creare, l’idea di chi siamo nel continuo confronto con gli altri, per questo ne abbiamo così bisogno. Per quanto concerne la strada della ricerca interiore è facile prendersi l’abbaglio, ossia sentirsi di aver realizzato chissà quali vette per qualche misero anno di Yoga e lavoro su se stessi e sentirsi quindi autorizzati direttamente da Dio in persona nel diventare suoi bracci destri nella dura lotta all’inconsapevolezza.
Torniamo coi piedi per terra.
Cominciamo a vedere il nostro dolce Ego, il nostro tenero bisogno di essere ascoltati, cominciamo a guardare in faccia ciò che sta dietro al dover per forza insegnare qualcosa a qualcuno, ossia il bisogno di essere riconosciuti e veder riconosciuto il lavoro che abbiamo fatto, che la gente ci dica “bravo”, “hai fatto tanta strada”, di vedere le facce incantate di chi ci sta davanti e ci ascolta.
Se vediamo tutto questo, ecco, se lo vediamo davvero, allora forse è possibile ricominciare a camminare, e questa volta, magari, in silenzio.
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